In occasione della Giornata Mondiale del Donatore, vorremmo condividere alcuni spunti di riflessione in merito alle motivazioni che spingono le persone a scegliere liberamente di intraprendere una esperienza di volontariato.
La premessa dalla quale vorremmo partire si basa sull’idea che compiere azioni responsabili, cosa indispensabile anche all’interno di sistemi di volontariato, è possibile solo se l’individuo ha la possibilità di riflettere sul significato che ha per lui essere un volontario:
- Cosa mi ha spinto a fare volontariato?
- Cosa mi sento di offrire?
- Cosa mi porto a casa?
Le persone si avvicinano al volontariato per una molteplicità di ragioni: per curiosità, per offrire qualcosa a chi ne ha più bisogno, per investire tempo libero a disposizione, per prendere le distanze dai propri problemi, per ragioni etiche e morali o, ancora, perché stimolati e coinvolti da un amico.
Ciò che ci piacerebbe sottolineare è che la scelta di avvicinarsi al volontariato non è certamente qualcosa di casuale. Infatti, se potessimo approfondire e comprendere più a fondo le risposte di ogni singolo volontario in merito alle personali motivazioni, potremmo certamente scoprire qualcosa di più di quella specifica persona, dei suoi modelli e dei suoi sistemi di valori. Alcune motivazioni appaiono più “altruistiche”: potremmo scoprire che la persona si avvicina al volontariato per una volontà di rispondere ai bisogni degli altri, del territorio e della comunità. Altre motivazioni sono, invece, di tipo più “egoistiche” perché centrate maggiormente su di sé. In genere, nella scelta di intraprendere una esperienza di volontariato tali categorie di motivazioni sono contemporaneamente presenti.
Cosa si offre quando si svolge volontariato? Certamente, si dona all’altro qualcosa di proprio. Oltre alla dimensione materiale (fare qualcosa insieme, aiutare concretamente qualcuno, rispondere a problemi…) si dona il proprio tempo, il proprio ascolto attraverso uno spazio mentale aperto, le proprie esperienze, le proprie competenze. L’azione concreta assume un carattere più prettamente simbolico. Ciò che attribuisce così tanto valore al volontariato è il fatto che avvenga all’interno di una dimensione di piena gratuità e che ognuno svolga una “piccola” parte per contribuire ad un progetto “più grande”, del quale si condividono gli ideali. E’ fondamentale il singolo contributo di ognuno: “quello che facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma l’oceano senza quella goccia sarebbe più piccolo”.
Cosa si riceve quando si svolge una esperienza di volontariato?
Avvicinarsi al volontariato anche per soddisfare bisogni propri è assolutamente normale; anzi, questo rappresenta proprio l’elemento centrale per decidere di intraprendere una esperienza di volontariato e per poterla svolgere con impegno, motivazione e continuità, riducendo la probabilità che la motivazione si esaurisca nel tempo. Il motore interno che ci guida è uno dei fattori che permette di vivere il volontariato con piena adesione e senso di appartenenza, garantendo una piena sintonizzazione emotiva con le persone più bisognose. Per cui niente sensi di colpa! La cosa davvero importante è essere consapevoli di quanto ogni volontario possa ricevere dall’esperienza che sta facendo. Coinvolgersi in una esperienza di volontariato, in un’ottica pro-sociale, aumenta i livelli di benessere, di autostima e di auto-efficacia. La persona ha la possibilità di arricchire la propria rete di amicizie con persone che condividono una simile visione del mondo. Creare nuovi e significativi legami permette di creare nuove appartenenze, che definiscono l’identità individuale. C’è poi l’aspetto etico e morale, legato alla sensazione di aver partecipato a qualcosa di giusto per aver fatto qualcosa per gli altri. Frequenti sono anche le riflessioni che si effettuano sulla vita in generale, connesse alla possibilità di “ridimensionarsi su alcune convinzioni”, di sentirsi “fortunato”, di “de-centrarsi”… Non è un caso, infatti, che la maggior parte dei volontari parli dell’esperienza di volontariato come di una occasione di crescita personale: ciascuno “porta a casa qualcosa” dal fare volontariato, grazie alla possibilità di aprirsi alla differenza, all’altro e a ciò che non conosciamo.
Tutte le motivazioni sono legittime ma è importante esplicitarle perché esse non sono qualcosa di statico ma si modificano nel corso del tempo. È importante essere consapevoli del fatto che le motivazioni si rinnovano continuamente perché questo andrà ad influenzare anche il modo di svolgere l’esperienza di volontariato, in termini di partecipazione, frequenza e qualità.
Ciò che emerge chiaramente è la centralità della dimensione relazionale. Questo trova una spiegazione nel fatto che l’uomo possiede la necessità di aprirsi alle relazioni, agli altri e al mondo: “[…] non c’è niente al di fuori della relazione […], l’essere umano esiste solo in relazione a qualcuno. Se non c’è una relazione, questa persona non c’è” (Gianfranco Cecchin – direttore del Centro Milanese di Terapia della Famiglia). Come teorizzò lo psicologo Abraham Maslow, uno dei bisogni intrinseci e primari dell’uomo è quello di appartenenza: essere amato e amare, far parte di un gruppo ed essere membro di un sistema allargato. Sperimentare permette di comprendere cosa piace e cosa non piace, in un processo di conoscenza e di definizione di noi stessi.
Poter condividere questi temi e riflessioni permette di aprire l’esperienza di volontariato a tutti coloro che vorrebbero sperimentarsi in essa ma che ancora non ne hanno trovato l’occasione. Spesso ciò che blocca le persone ad intraprendere una esperienza di volontariato è la mancata conoscenza di cosa significhi veramente essere volontari. A tal proposito, in un’ottica di sensibilizzazione, ci piacerebbe fare un po’ di chiarezza in merito a cosa significa essere realmente donatori di sangue e/o plasma.
Infatti, sulla donazione di sangue circolano numerosi falsi miti, credenze sbagliate ed infondate che certamente possono creare scompiglio e confusione. Queste credenze errate possono portare le persone ad avere paura a donare, a mostrare forme di resistenza e/o a pensare di non essere idonei alla donazione. Risulta quindi necessario fare chiarezza e sgombrare il campo da ogni tipo di malinteso. Risulta importante che anche il donatore di sangue, anche se ha già scelto di diventare donatore, sia informato in maniera corretta, perché potrebbe certamente capitare che sia chiamato lui stesso a dare informazioni ad altre persone, potenziali donatori. La disinformazione è il maggior deterrente per le persone che potrebbero diventare donatori nel futuro.
Vediamo i falsi miti più frequenti, da sfatare e falsificare.
- Chi ha un tatuaggio e/o un piercing non può donare: è sufficiente osservare una sospensione di 4 mesi per poter individuare l’eventuale presenza di una infezione e/o di un virus. Una volta trascorso questo periodo è possibile tornare a donare regolarmente.
- Chi beve o fuma non può donare: nel questionario sanitario, a cui si è sottoposti prima di ciascuna donazione, viene richiesto di indicare la presenza di comportamenti a rischio che possono danneggiare la salute di chi riceve il sangue. Anche chi beve o fuma può donare, almeno che non si evincano segni di malattie derivanti da questa abitudine.
- Per donare servono troppe ore: il tempo previsto per la donazione di sangue è di circa 40 minuti, mentre per la donazione di plasma e piastrine occorrono 60 minuti. Una strategia efficace potrebbe essere quella di prenotare un appuntamento.
- Bisogna donare tutte le volte che l’associazione di riferimento procede alla convocazione: tutti i donatori sono avvisati quando è trascorso l’intervallo di legge che consente di effettuare una nuova donazione ma non esiste alcun obbligo. Il cittadino è libero di scegliere sulla base della sua sensibilità. Tutti gli uomini possono donare sangue al massimo fino a 4 volte l’anno, mentre le donne al massimo fino a 2 volte l’anno. Il plasma si può donare più spesso.
- Gli sportivi non possono donare: possono certamente donare nei periodi di riposo.
- Donare il sangue è doloroso a livello fisico: l’inserimento dell’ago nella vena è indolore per la maggior parte dei donatori. La percezione del dolore ed il significato simbolico che si attribuisce al sangue e al gesto di inserire l’ago nel braccio sono, senz’altro, soggettivi e connessi alle esperienze, più o meno spiacevoli, che abbiamo fatto nel corso della nostra via.
- Durante la donazione è necessario sottoporsi alla vista del sangue: durante la donazione è possibile notare il tubicino che porta il sangue alla sacca, ma può essere coperto con un piccolo telo.
- La donazione rende sicuramente stanchi: la percezione di stanchezza è soggettiva e può essere mediata da diversi fattori (periodo di vita particolarmente intenso, umore deflesso…).
- Donare il plasma è meno importante che donare il sangue: la donazione del plasma risulta fondamentale per tutte quelle persone che soffrono di patologie legate a deficit delle diverse sostanze plasmatiche.
- Per donare bisogna essere a digiuno: non è necessario. Il mattino della donazione sarebbe preferibile aver fatto una colazione leggera, priva di latticini. È importante osservare il digiuno quando la persona deve effettuare gli esami del sangue da laboratorio.
- Donare sangue crea assuefazione: donare sangue in maniera periodica non comporta alcun rischio e alcuna dipendenza. E’ possibile decidere di interrompere la donazione di sangue o plasma in qualsiasi momento.
Si tratta di una donazione volontaria, periodica, gratuita, informata e responsabile.
Per informazioni:
Avis Comunale di Cesena, Via Serraglio 14
0547 – 613193 o 0547 – 352615
aviscesena@libero.it
Studio Psicologia MeTeOra – Cesena
www.studiopsicologiameteora.it
Dott.ssa Maria Letizia Ravaioli
Dott.ssa Gabriella Ricci
Dott.ssa Daniela Matera